martedì 15 agosto 2017

GESÚ È MORTO IN KASHMIR?





La biografia sconosciuta del profeta in un
  confronto fra le due forme di cristianesimo: loro rilevanze storico-sociali.

      Pubblicato da C.O.T.L. su Ind.It. martedì 8-06-04, col titolo Gesù nel Kashmir, era il seguito di Simone di Cirene, crocefisso al posto di Gesù.  Ecco i due riferimenti originari:
http://italy.indymedia.org/news/2004/05/556021.php
http://italy.indymedia.org/news/2004/06/566609.php



a)  La vera vita di Gesù

      I Vangeli Sinottici non si diffondono molto sulla giovinezza della figura profetica da loro esaltata.  Fra il periodo adolescenziale, in cui Gesù rivela di fronte ai saggi le sue doti spirituali, e il periodo della passione e morte vi è praticamente uno iato.  Che fece il Maestro nel periodo di mezzo?  Vi sono biografie del Cristo che paiono romanzate, un Cristo stile ‘New Age’ che ha fatto in giovinezza avventurosi viaggi in India e persino in Giappone.  Eppure, secondo gli Ahmadiya (1) Gesù è realmente vissuto in India dopo la simulata crocefissione.  Gli Ahmadiya (da non confondere con gli Ahmadiyya del XIX sec., movimento fondato da  M.G. Ahmad) hanno tratto vantaggio dalle tradizioni diffuse nella Tebaide, la regione egizia attorno a Tebe, presso la quale ebbe origine il monachesimo cristiano.  Sant’Antonio, ovvero il monaco ossequiato il 17 gennaio (data di nascita peraltro di chi scrive, un tempo riferita a Mago Merlino), era venerato a Rennes-le-Châteaux siccome fondatore del Monachesimo.  Vale a dire di quella forma di cristianesimo, di poi cattolicizzato, che rappresentava una persistenza delle dottrine e delle pratiche realizzative insegnate dalla Chiesa di Gerusalemme.  Proprio ciò, nonché il fatto che vi fosse una relazione da un lato fra il monachesimo cristiano primitivo e il monachesimo cattolico irlandese (2), d’ispirazione celtico-orientale, e dall’altro fra il cristianesimo primitivo e il cristianesimo malabarico (3), dimostra che non sono vane ciance le credenze che Gesù abbia trascorso la sua giovinezza studiando e praticando certe dottrine indiane in parallelo a quelle ebraiche.  E che poi, tornato in Palestina, abbia arricchito la sapienza essenica di elementi palesemente vishnuiti (4).  O, più precisamente, krishnaiti.



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       Se è credibile la ricostruzione storica fatta da Baigent, Leigh e Lincoln nel ‘Santo Graal’ e non v’è motivo di dubitarne – dettagli a parte, sebbene essi non siano degli storici di professione – non è irrazionale ritenere che il figlio di Maria si sia recato in India assieme al fratello gemello Tommaso anziché essere rimasto vicino al fratello Giacomo nel pericolo costante di essere arrestato e calunniato.  Evidentemente, se la recita drammatica suggerita dai testi apocrifi e gnostici vi è stata realmente, non si può pensare che quell’uomo perseguitato abbia potuto rimanere in zona a lungo.  Né che si sia recato ad Alessandria d’Egitto, o dintorni, senza mai tentare neppure una volta di provare a raggiungere la propria famiglia (Maddalena e tre figli, secondo la ricostruzione di taluni), salpata probabilmente su nave fenicia alla volta del porto di Marsiglia.  Non esiste alcuna tradizione che ipotizzi la presenza della tomba di Gesù in Egitto od uno sbarco del Messia in Francia, neppure a titolo vagamente leggendario.  Segno che il Nazareno mai raggiunse l’Egitto, se non in occasione del viaggio di Maria e Giuseppe per scampare al censimento di Erode.
     
      A quel tempo era già piuttosto facile raggiungere l’India via mare, poiché erano stati scoperti i monsoni e il viaggio costiero era assai praticato.  Vi sono parecchie testimonianze in proposito.  Arrivavano in India dalla Grecia schiere di viaggiatori (cfr. gli scritti di Filliozat pubblicati presso l’Iistituto d’Indologia di Pondicherry) per partecipare a determinate feste buddhiste.  Il culto induista di Shrî-Lakshmî, la dea indiana dell’abbondanza, era diffuso nelle province romane meridionali come Pompei.

        L’unica spiegazione valida del silenzio parimenti di tradizioni gerosolimitane (5) o egiziache riguardo il seppellimento e la morte di Gesù, a meno di credere miracolisticamente alla scomparsa del cadavere dal sepolcro secondo quanto attestano le fonti evangeliche, è una prova indiretta che egli si era spinto così lontano dalla Palestina da non poter più tornare in patria…  Che Tommaso si sia recato ad evangelizzare la Siria, la Partia ed in seguito pure l’India è testimoniato da vari testi antichi.  Come specificato in nota il cristianesimo malabarico, d’origine tommasea, non è stato introdotto dai Portoghesi, che incredibilmente lo trovarono già impiantato nella 



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parte meridionale del subcontinente indiano.  Nella zona himalayana occidentale sono però reperibili delle quasi indecifrabili icone angeliche aventi in mano il ‘Pesce’ cristico.  Per quanto di difficile spiegazione, tali effigie potrebbero rifarsi alla simbolica apocrifa del Cristo in qualità di Angelo (6) quale ritoviamo ad es. nella S.J.C.- i.  Conferma di ciò è data da un passo del Vangelo di Tommaso (vii), ove compare la parabola del Pescatore che getta i pesci piccoli (i piccoli maestri, gli eruditi) allorché riesce a pescare un “Pesce Grande” (cioè un Vero Maestro, o Satguru, come direbbero gli indù).  Il che è analogo concettualmente a determinate raffigurazioni vishnuite del Matsyâvatâra, dipinto nella pittura nepalese neppure a farlo apposta come un pesce grande fra i piccoli.  L’Unica differenza è che il Mahâmatsya è monodono, a mo’ di narvalo (7); ma anche Cristo è effigiato a volte nell’arte cristiana come un Pesce Cornuto (Pescesega) o con una proboscide elefantina tipo dugongo (quand’è identificato al Leviathân), che altri non è se non una variante a livello simbolico della Balena di Giona (8).  Il cd. “Pesce Grande” è in tutte le culture del globo il veicolo primigenio dell’Amore universale.
      Se è dunque provato che un culto cristiano, di carattere gnostico-nazareo, trovasi anche nell’estremo nord dell’India è plausibile la spiegazione che i gemelli Gesù e Tommaso si siano potuti dividere il compito d’evangelizzare la penisola indiana; l’uno nel settentrione, l’altro nel meridione.  Le due cose sono entrambe attestate, sia pure distintamente, ed hanno una loro logica.  Si dice che Gesù abbia voluto redimere le tribù ebraiche disperse al tempo dell’esilio babilonese e mai più tornate in patria.  Tali tribù, a differenza di quelle della seconda diaspora emigrate verso occidente, si erano spostate verso oriente fino appunto agli Himâlaya.  Cosa perciò del tutto comprensibile che il Messia ebraico (secondo Baigent & C. il ruolo extra-ebraico ed universalistico del Cristo cattolico è il frutto dell’insegnamento paolino), perfettamente radicato nella propria tradizione, abbia voluto raggiungerli attraverso la Persia e il Tibet col suo messaggio spirituale (9).  Trattavasi in fondo di fratelli di fede e di sangue.  Gesù era il germoglio vivente dei grandi re d’Israele quali David e Salomone, mentre i monarchi in carica erano considerati degli usurpatori.  Che Erode temesse Gesù come un suo possibile detronizzatore è il racconto evangelico stesso a renderlo palese, seppure in forma edulcorata.  Erode fa seguire i Magi, convinto di 



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dover impedire l’ascesa d’un possibile erede legittimo al trono di Giudea.

      Mentre non è attestato storicamente il contrario, ossia che Gesù fosse rimasto in Palestina né che l’abbia abbandonata emigrando verso occidente.  Impossibile a pensarsi che una tale trascuratezza abbia potuto coinvolgere un personaggio tanto famoso, dato l’emergere quasi subito dopo la finta crocefissione d’una forma primitiva di cristianesimo.  Fatalmente, non avendo trovato un terreno troppo favorevole per la presenza di altri culti altrettanto elevati, il messaggio cristiano ha faticato a diffondersi in Oriente fra i non-ebrei; mentre, per ragioni opposte, si è esteso anche ai non-ebrei lungo il bacino mediterraneo.



b) Due forme di cristianesimo

      Non è giusto attaccare il Cristianesimo paolino, giudicandolo una forma eretica di Nazarenismo, ovvero del messaggio originario dl Gesù.  Come ho spiegato più in sintesi nello scorso articolo,  dedicato a Simone di Cirene, è avvenuto nel Cristianesimo un fenomeno parallelo a quello avvenuto nel Buddhismo.  In Asia, infatti, ad un buddhismo storico di matrice indo-gangetica si è prima sovrapposto ed in seguito contrapposto un buddhismo popolare od esoterico extra-indiano, con connotazioni esotiche estremo- orientali.   Le due forme di Buddhismo sono state considerate valide ed adatte ciascuna per determinati fini presso differenti popolazioni.  Perché non impiegare lo stesso criterio di giudizio anche nei confronti del Nazarenismo e del Cattolicesimo o del’Ortodossia (bisognerebbe dire del Paolinismo)?  È sbagliato tanto respingere la storia vera di Gesù, Giacomo e degli altri fratelli e sorelle narrataci dall’esoterismo cristiano, quanto restringere al cristianesimo nazareno tutto il cristianesimo.

      Paolo, lungi dall’essere un eretico, ha ellenizzato e romanizzato la dottrina cristiana secondo lo stile farisaico, anti-gnostico ed anti-essenico, per fini che non sta a noi giudicare.  Il Cattolicesimo e 



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l’Ortodossia, senza dubbio d’origine paolina (soprattutto il primo), hanno avuto il compito di risacralizzare e non di desacralizzare l’Europa pagana persa nei meandri dei vecchi culti, il cui significato era diventato obsoleto ai più.  Perciò hanno svolto una funzione importante, anzi essenziale, nell’ambito del mondo europeo.  La divinizzazione e la virginalizzazione della Madre di Cristo, o come dicono bizantinianamente gli ortodossi della Madre di Dio, era perfettamente lecita in base alla spiritualità ellenico-latina.  Non a caso, dimostrò Federico Zeri in un suo ottimo intervento giornalistico (10), certi reperti del IV sec. d.C. rinvenuti a Ostia indicano l’immagine scultorea di Plotino quale modello plastico dell’iconografia successiva di S. Paolo.  I riferimenti ideali della cultura ellenistica, particolarmente di quella forma filosofica che chiamavasi neoplatonismo, sono passati così integralmente per eredità storica al cattolicesimo.

      Il cristianesimo mariano e quello magdaleniano sono a vicenda paragonabili, non per essere ripetitivo, al Mahâyâna e allo Hinayâna.  L’uno più vicino alla figura idealizzata del Redentore, l’altro più prossimo a concepirlo storicamente come Illuminatore.  Per questo si dava maggior rilievo nel secondo caso alla figura del Padre Celeste, definito dagli Esseni Padre Infinito o Padre Eterno e distinto come tale dal semplice Progenitore, l’Adamo (Uomo) Immortale donde era emanato il “Figlio dell’Uomo” (cioè di Adamo), concepito per ciò stesso quale “Figlio di Dio”.  Ovvero del Padre Supremo, dispensatore della Luce.  E “Figlio della Luce” per antonomasia era il Cristo, così come “Figli della Luce” venivano chiamati direttamente nei testi del N.T. non soltanto gli Esseni, ma anche coloro che erano seguaci del noachita Melchisedek (11).  Viceversa nel primo caso la funzione paterna della Divinità era relegata ad un doppione ‘ozioso’ del Figlio, dai bizantini non per nulla elevato al ruolo supremo di Pantocratore (‘Dominatore del Tutto’).  Alla maniera del Krishna indiano, che per certuni non è semplicemente il Nono Avatara di Vishnu, ma Vishnu medesimo nel suo aspetto universale e totalizzante.  A dimostrazione che elementi “indiani” sono perdurati persino nel Cattolicesimo e nell’Ortodossia.




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c)   La tomba di Gesù a Shrinagar

      Oggi purtroppo il Kashmîr è oggetto d’una furibonda contesa fra indù e musulmani.  Nella capitale di questa bellissima regione, visitata da chi scrive vari decenni fa, la raffinata Shrînagar (‘Città dell’Abbondanza’), si rende omaggio alla tomba di Gesù (oggi chiusa ai turisti), di cui si fa menzione del resto anche nei testi sacri induisti.  Esattamente nel Bhavishya Purâna, Prat.P.- iii. 16-33 (12).  Il passo riporta difatti la notizia che il re kashmiro incontrò un grande asceta, corrispondente nei tratti e nel nome alla figura cristiana di Gesù (lett. Isa-Masi = ‘Gesù il Messia’), seduto su un picco del Ladâkh, regione allora appartenente all’Impero Kushâna.   Il Ladâkh è uno staterello roccioso e desertico al confine fra Kashmîr e Cina, anch’esso conteso dai confinanti ed oggi chiuso perciò al turismo.  Pur essendo in alta montagna, l’ambiente a causa del suolo desertico poteva ricordare un po’ quello palestinese ed egiziano.

      Dal momento che l’incontro per il sovrano indù non costituiva un vanto, per evidenti motivi culturali, non vi sarebbe stata ragione d’introdurre nei testi indiani siffatta menzogna.  Né le scritture indiane, sia detto per inciso, lo permetterebbero; poiché gli scribi indù non hanno l’abitudine di mentire, tutti presi come sono ad enucleare le più recondite verità della storia umana, secondo quanto è loro unanimemente riconosciuto.  Anche da parte dei cristiani.



d)  All’attacco dell’India

      Solo negli ultimi anni sono usciti in Occidente testi di carattere fondamentalista.  Vedi, qualche anno fa, un pamphlet odioso venuto fuori dalle mani d’un autore leghista ed un altro altrettanto inutilmente polemico ad opera del giornalista Bettiza, che pure s’era adoperato in passato per il bene dell’Afghanistan, sebbene in chiave psicoticamente anticomunista.  Tali libri paiono essere stati scritti per screditare appositamente la spiritualità indiana, ed è meglio quindi non far loro pubblicità.  Forse hanno lo scopo involontariamente di preparare un clima adatto in vista d’un futuro scontro del terrorismo 



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arabo col popolo indiano.  L’Islâm ha fatto sinora da cuscinetto e una volta conquistato l’Iran non ci sarà più alcun baluardo all’invasione neocoloniale occidentale.  Poiché il Pakistan di Musharrâf, tramite l’Isi, è al servizio della Cia.  E all’Isi si debbono addebitare le scorribande sul suolo kashmiro ed indiano che hanno raggiunto financo il Parlamento di Delhi, con finalità terroristiche infami.  In altre parole, di destabilizzazione, ad uso e consumo degl’interventi novordinisti del Palazzo di Vetro e compagnia bella.  In vista della formazione dell’Australasia di orwelliana memoria, coi quattro ausiliari degli Angloamericani ai punti cardinali: Israele, Cina, Giappone e Australia.  E osiamo chiamarci cristiani? Come si rivolterà quel “povero Cristo” nella tomba, di Shrinagar s’intende!




P.S.- Pongo infine due link interessanti, uno concernente una visione fantastica della vita del Messia e l’altro una disquisizione sulla questione del Golgota e del Santo Sepolcro:
http://www.christusrex.org/www1/jhs/TSspital.html
http://digilander.libero.it/sabato/Principale1.htm

N.B.-  Entrati in quest'ultimo, cliccare sul file a lato dell'immagine della tomba, che secondo il dir. del Museo del Kashmir Fida Hasnain è realmente quella del Gesù storico.  Il passo del purana citato è tradotto per intero, seppure un po' male.  Da esso si deduce ad ogni modo che Isa (così lo chiamano anche i musulmani, aggiungendo la specificazione "ibn Maryam") vestiva di bianco ed aveva pelle chiara.  Si contrapponeva a Iha-masi (il Demonio) e adottava un linguaggio di tipo esseno-gnosticheggiante.


Note

(1)  Per chi non lo sapesse gli Ahmadiya non sono una setta eretica moderna, come si vuol far credere, bensì una delle 12 principali confraternite regolari sufiche fondata da Ahmad al-Badawi (per questo son chiamati, alternativamente, Badawîya), vissuto nel XIII sec. d.C. e venerato in Egitto come il maggior santo islamico.  È il più popolare fra gli ordini rurali, i quali a differenza di quelli urbani non hanno coltivato la Sunnah (‘Legge’) con formalismo e rigore erudito.  Ma non per questo si deve sottovalutare il loro apporto sul piano storico, oltreché spirituale.  Tale sodalizio rustico dava peculiare importanza 





alla pratica di contemplare le stelle e a quella del silenzio, con astensione dal rivolgere la parola al prossimo.  Cosa che era praticata, secondo i Vangeli Apocrifi, anche dai seguaci di Gesù.  Gli Ahmadiya hanno inoltre assorbito influenze dell’Egitto pre-islamico (F.Rahman, LA RELIGIONE DEL CORANO- Il Saggiatore, Milano 1968; ed.or. Islam, 1966).  
(2)  Cfr. M. Baigent-R.Leigh-H. Lincoln, L’EREDITÀ MESSIANICA,  M.Tropea, Milano 1996 (ed.or. The Messianic Legacy- J.Cape, Londra 1986), Cap.8, pp. 116-23.
(3)  Il Malabar era un tempo la zona meridionale dell’India.  Quando primi fra tutti gli europei arrivarono colà i Portoghesi, con intenti coloniali, videro con molta soprprea che il culto di Cristo era già diffuso in quelle plaghe.  La tradizione cristiana vicino orientale attribuiva quella diffusione all’opera apostolica di San Tommaso, che gli studi recenti hanno dimostrato essere il fratello gemello (o didimo) di Gesù, col nome più ampio di Giuda Tommaso.  Così è conosciuto dagli Apocrifi, sebbene sia esistito un distinto Vangelo di Giuda non pervenutoci, d’ispirazione cainita.  Non bisogna confondere Giuda Tommaso coi i due apostoli distinti, Tommaso e Giuda, sebbene il Cattolicesimo abbia demonizzato il secondo e messo quasi da parte il primo; cui storicamente appartiene il Vangelo più antico, se si esclude forse quello in aramaico di Matteo andato perduto.  Il Vangelo di Tommaso raccoglie le parabole di Gesù come fossero aforismi, senza quel tessuto connettivo fatto di vicende storico-leggendarie che troviamo nei Sinottici.
(4)  Seppure gli orientalisti eurocentricamente talora abbiano creduto il contrario.  D’altronde i Dravidi, nonché i Paleodravidi dell’antica Civiltà dell’Indo sono di provenienza camitica come Sumeri, Etiopi ed Egizi.  Il ceppo più tardi dominante, di lingua indoeuropea, è invece ariano, cioè jafetico.  Ragion per cui la matrice noaica di tutta la cultura indiana l’apparenta visibilmente a quella mediterranea.  Le tematiche krishnaite sono di palese origine noachita, come quelle esseno-cristiane.  Poiché Krishna e Noâh sono personaggi storici evemerizzati, l’uno in un contesto indiano e l’altro in un contesto ebraico, ma assolutamente equivalenti.  Anche Krishna è legato al mito diluviale, all’Arca sebbene non al Monte Ararat.  Però i Paleodravidi provenivano dall’Armenia, che significa lett. ‘Terra dei Minî’ (antico nome dei Dravidi).  Probabilmente i personaggi di Krishna e di Noè, in parte leggendari ed in parte storicamente radicati, derivano dall’Atlantide.  Oggi è stato dimostrato da uno studioso (l’ing. Jim Allen) che l’Atlantide si situava fra l’America del Sud e il Centroamerica.  Lo sprofondamento di parte del territorio, come racconta con un po’ di favoleggiamento Platone, costrinse parte degli abitanti del continente americano a tentare una fuga attraverso l’Atlantico.  Quei profughi invasero pertanto le coste meridionali dell’Europa e quelle settentrionali dell’Africa, dove una volta esisteva al posto del Sahara il cd. ‘Lago Tiberiade’.  Tutte le popolazioni chiamate camitiche, semitiche e jafetiche sono la dispersione etnica di quei profughi.  I primi mescolatisi alle genti africane, soprattutto nell’area nilotica oppure emigrate da Creta (ove è testimoniata l’evenienza di una calamità di tipo diluviale più recente) nel Vicino e Medio Oriente. Che le popolazioni mediterranee, in principio derivate da un ceppo indonesiano emigrato in tempi preistorici fino alla penisola iberica, siano commiste a etnie proto-amerinde, lo prova il nome di tanti ceppi razziali (Ebrei, Arabi, Iberi ecc.), rifacentesi chiaramente all’Ovest  – in latino il vespero indica il tramonto – quale punto cardinale di riferimento simbolico-rituale.
(5)  Una tradizione riguardante la tomba di Cristo a Gerusalemme, è noto, costituisce un falso perpetrato da Costantino nel IV sec. onde delimitare il culto alla visione imperial-pontificale del Cattolicesimo nascente, assecondando la visione paolino-ellenistico-romana.
(6)  Sull’argomento ho ricevuto un’imboccata dal mio amico Dvarapala, più volte citato nei miei precedenti articoli.  Per un esempio iconografico della figura angelica con in mano un emblema ittico (per la verità è un Grande Pesce) vedi IN THE IMAGE OF MAN. THE INDIAN PERCEPTION OF UNIVERSE THROUGH 2000 YEARS OF PAINTING AND SCULPTURE, Londra-N.York  1982, p.163, fig.234.  Il ritratto, di stile mughal (fine del XVI sec. c.), mostra un angelo con caratteri tipicamente islamici, ma appartiene ad un pittore, certo Kesu, rinomato per i propri soggetti di argomento cristiano.
(7)  Tale figura sottostà infatti ad un simbolismo d’origine iperborea.  Non a caso i narvali vivono solamente nell’Oceano Artico.
(8)  L’iconografia tardoantica ed altomedievale di Giona salvato dalle acque dal ‘Grande Pesce’ ricorda da vicino quella del Primo Avatâra vishnuita.
(9)  Il  secondo viaggio verso l’India è poco credibile che i due fratelli l’abbiano affrontato via mare.  Molto più attendibile, come attestato dai testi sacri, che il percorso sia avvenuto tramite le vie carovaniere.
(10)  F.Zeri, San Paolo e il filosofo- La Stampa (merc., 11-02-1987).
(11)  Vale a dire i cristiani, dato che il Nazareno era stato eletto sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek e questi altro non era che il fratello di Noè.  Insomma Noè in altra forma, o meglio Seth, secondo il giudizio del nostro amico Dvarapala.  Difatti il culto ofidico di Seth corrisponde a quello indiano di Balarama, non di meno di quanto il culto noaico rispecchi quello krishnaita.
(12)  Il Bhavishya è un antico purana, scritto nel 115 d.C. da Sutta.  Raccoglie anche materiale cristiano come la leggenda noaica.  Quantunque di tarda stesura, rispetto all’epoca della presunta crocefissione, sarebbe sciocco considerare la notizia dell’incontro con Gesù inattendibile storicamente.  L’India è un paese dove antiche tradizioni si sono conservate oralmente ed iconograficamente sino al XIX secolo e persino più oltre.  Ho personalmente comprato in un negozio di Khajurâho, tanto per fare un esempio, una statuetta metallica di Kâlî con in testa lo Scorpione.  Non si trova un analogo simulacro della dea nemmeno nei musei indiani, né altrove.  Compiendo studi sul reperto, in realtà un semplice oggetto d’arte venduto ad un turista come me, ho scoperto che non ve ne sono di simili in tutto l’arco della storia indiana medievale e moderna.  Si può rintracciare un’omologa raffigurazione solamente in certe dee mediterranee, a partire dall’egiziana Selkis.  Sennonché quelle immagini risalgono a più di duemila anni fa!   



Video A: La Vita d Gesù in India


                             

1 commento:

  1. Ripubblicazione d'un mio articolo di stampo giornalistico sulla vicenda kashmira di Gesù, pubblicato on line il 10 aprile del 2007, ma risalente ad un canovaccio dell'8 giugno 2004.

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